Il Ventilatore Mozzato

Di Gianluca Boncaldo

Il Ventilatore Mozzato – Foto n. 1

1 – Ambito di studio e definizione

Il presente scritto, nasce per chiarire la natura dell’opera “Il ventilatore mozzato”, attraverso una lettura dei significati sottesi. L’interesse che smuove tale analisi è di taglio sociologico-artistico, pertanto i riferimenti assumono significato solamente se inseriti nel contesto in cui essi stessi vengono generati. Imprescindibili saranno i riferimenti dell’estetica filosofica, volti a intendere e consolidare l’aura che caratterizza l’opera stessa. Lo studio va inteso come una linea guida, necessaria per comprendere i processi che hanno posto in essere lo stato di realtà in cui è inserita l’opera, nonché per identificare la profondità che potrebbe essere travisata o che potrebbe restare celata allo sguardo veloce e distratto con il quale siamo stati educati a rapportarci con la nostra epoca. Pertanto, senza una traccia di riferimento o uno sguardo consapevole, l’opera non è altro che cianfrusaglia tra le cose del mondo, l’ennesimo oggetto che occupa lo spazio della sua fisicità. Il chiarimento semantico pertanto è preliminare all’analisi dell’opera, affinché la lettura del manufatto possa essere scevra da pregiudizi. Siamo spesso costretti a ridurre i fenomeni della realtà alle etichette che rappresentano il fenomeno stesso, per cui inevitabilmente l’oggetto d’analisi sarà definito come “arte concettuale”, continuando quella tradizione di cui Marcel Duchamp si è posto antesignano oltre un secolo fa (Acton, 2004: p. 62). Sebbene l’etichetta “arte concettuale”, calzi in maniera adeguata all’opera, dirige allo stesso tempo un processo di esclusione e distrazione focalizzato sul particolare, che è il concetto. Per l’apprezzamento complessivo dell’opera, lo sguardo necessita di un taglio più ampio, affinché il concetto di estetica sia riqualificato. Il termine “arte concettuale” difatti, tende a tradire se stesso, dato che ponendo enfasi sul concetto, ne tralascia le qualità estetiche, fondamentali per la trasmissione del concetto stesso. Dunque, solo abbandonando lo sguardo viziato dei canoni occidentali, può essere apprezzata in pieno la cosiddetta arte concettuale, scorgendo con meraviglia e candore una bellezza a cui non siamo stati educati, apprezzando non solo il concetto ma anche il supporto fisico che lo veicola. Il significante e il significato, pur avendo entrambi autonomia semantica, non possono ignorarsi vicendevolmente; essi necessitano un intreccio che non li espliciti slegati, giacché slegarli è un’ampollosa operazione intellettuale limitata ai fini dell’analisi e dell’apprezzamento complessivo, tra la definizione dell’aura stessa e lo svelamento ontologico di ciò che è già sondato dal nostro sguardo.

2 – Il manufatto e la prospettiva funzionalista

Seppure la banalità e il senso comune sono di per sé sufficienti per comprendere le caratteristiche di un ventilatore, questa sezione dell’elaborato intende porre una riflessione sul processo di costruzione del significato dato per scontato, nonché delineare una strada metaforica sulla quale è transitato l’oggetto prima di divenire opera d’arte.

Un ventilatore, trova il suo posto nel mondo, come oggetto atto a procurare sollievo dal caldo. Il suo principio di funzionamento è quello di una macchina elettrica rotante, che influisce sull’ambiente circostante trasformando l’energia elettrica in energia meccanica; è attraverso l’interazione elettromagnetica tra induttore e indotto, che vengono azionate le pale (Chitarin et al., 2020: p. 61-62). Notiamo che nel processo di costruzione cognitiva e di elaborazione dell’idea che struttura il ventilatore, è possibile trovare tracce della dialettica triadica di Hegel, scorgendo l’essere, il nulla e il divenire; o meglio la tesi, l’antitesi e la sintesi: se nella dialettica hegeliana due categorie si contrappongono per poi generarne una terza (Stace, 1955: p. 92-93), in modo analogo l’interazione tra induttore e indotto produce l’effetto ambìto per il corretto funzionamento della macchina.

Quest’oggetto è quindi chiaramente uno dei frammenti quotidiani del pensiero manifestatosi attraverso la tecnica, dunque parte della cultura derivata dal sapere tecnico del genere umano. La stessa cultura che, secondo la prospettiva di Gehlen (2010) è una “seconda natura” atta a sopperire le mancanze fisiche tipiche della nostra specie: gli esseri umani sono sprovvisti di un corpo che permetta loro naturalmente di adattarsi all’ambiente, dunque creano degli artefatti per potenziare le loro inadeguate dotazioni. Il ventilatore, in quanto cultura, può essere inteso come un’estroflessione delle proprie mani, usato per creare quell’effetto gradevole dato dall’aria fresca sul nostro corpo.

Nato da un’idea dell’essere umano per l’essere umano, il ventilatore è uno dei tanti strumenti attraverso il quale rendiamo il nostro ambiente fisico più confortevole. L’universo di significato che costituisce la cornice della storia sociale dell’oggetto, è radicato in un mondo definito secolare e disincantato.

Il ventilatore esiste in sé perché gli elementi della sua funzionalità e della sua utilità, lo hanno richiamato dall’iperuranio per divenire concreto. È frutto della logica che nel razionalismo contemporaneo viene intersecata alla verità, fornendo effetti di realtà (Magatti, 2009: p. 202).

A legarsi ulteriormente alla verità, è la tecnica (che nel caso specifico consente di disporre la creazione del ventilatore); mentre nel contempo, l’azione dell’umano viene riconosciuta e glorificata attraverso il culto dei manufatti. Entrambi i passaggi sovvertono la relazione che il senso instaura con la realtà: ne consegue che “invece di discutere su che cosa sia sensato, si riconosce il senso a ciò che viene fatto esistere, solo per il fatto di venire all’esistenza” (ivi: p. 203).

Il mondo materiale edificato ad artificio per favorire l’adattamento all’ambiente e il funzionamento della vita associata, diviene oggetto di venerazione. La sacralità dunque, non è svanita nel fumo della modernità; gli idoli e le immagini sacre vengono sostituiti dagli artifici del quotidiano.

La prospettiva funzionalista dunque, se indagata con particolari strumenti cognitivi, ci consente di smentire la narrazione che vede un mondo privato dall’elemento religioso, semmai l’elemento trascendente viene rimpiazzato da quello immanente (ivi: p. 37-41), creando un’inversione di senso entro la quale il cielo si riversa sull’orizzonte terreno, mentre la mondanità viene glorificata in sostituzione al divino. L’iconoclastia funziona dunque solo nella prospettiva della creazione di nuove icone, dato che, allo stato attuale, risulta antropologicamente utopico un universo sociale totalmente nichilista: inevitabilmente, anche in maniera sottile, si dirotterà l’attenzione verso diversi significati, per quanto effimeri possano essere.

3 – Il manufatto e la prospettiva artistica

L’elevazione del manufatto a opera d’arte, è un processo di ricerca del significato, una riflessione sul simulacro di ciò che è stato. Un malfunzionamento l’ha strappato violentemente dal suo scopo nel quotidiano. Se nel procedimento della creazione, forma e funzione sono elementi inscindibili e costitutivi della natura della cosa (Moloch, 2005); la sottrazione della funzione ha delineato la prevaricazione della forma, che per colmare il vuoto di tale mancanza, richiama a se significati dal mondo. Ciò è accaduto dopo diversi tentativi di esplorare l’anatomia dell’oggetto, dopo che il ventilatore ha subito la sorte nefasta della sua fine. Abbandonato su una credenza, suscitava emozioni cupe che si perpetuavano nello spazio circostante. L’idea di incanalare tali emozioni e renderle esplicite al mondo, ha portato al disvelamento del suo potenziale. Situato al di sopra della stessa credenza, ma elevato da un piedistallo e indicato da una targa, la sua miseria diviene punto di forza. Un “ready made”, elevato dalla volontà degli artisti, scisso dalle consuete relazioni che intratteneva con il mondo (Carboni, 2003: p. 46-47). Dunque, a differenza del vaso descritto da Simmel (2007), che è parte delle realtà quotidiana ma allo stesso tempo separato da essa in quanto arte; il ventilatore mozzato non contiene in sé entrambe le vicissitudini, semmai esse si susseguono. Il ventilatore apparteneva alla realtà quotidiana, ma successivamente è stato sottratto da essa per essere inserito a pieno titolo nel mondo dell’arte, attraverso la mediazione del piedistallo e della targa. Di conseguenza, l’opera, oltre a presentare un’estetica di carattere post-moderno, al tempo stesso rimanda a un simbolismo di tipo religioso. Non più cadavere, ma nuova vita. Non più scarto, ma oggetto di pregio.

Echeggia la critica a un mondo sociale schiavo delle proprie produzioni; lo stesso mondo che si muove incessantemente avanti, abbandonando come un’ombra alla proprie spalle, oggetti ormai privi delle proprie funzioni. L’essere umano così si mostra analogo all’angelo della storia descritto da Benjamin (2014): sospinto dalla tempesta, non fa altro che lasciare macerie dinnanzi a sé, rivolgendo le spalle al futuro. Il ventilatore mozzato rappresenta una di tali macerie, ponendosi a rappresentanza di tutte. Suscita in noi l’abbandono che non vorremmo mai ricevere, l’oblio entro il quale abbiamo paura di sprofondare. Il riferimento, tuttavia, non è limitato all’uso e al consumo degli oggetti, bensì a ogni forma sociale che lasciamo deperire. Rappresenta anche i rapporti umani che abbiamo abbandonato, le persone che un tempo erano per noi parte significativa della nostra vita, ma che adesso, non lo sono più.

Il ventilatore mozzato è lì, impetuoso, che ci mostra la storia della civiltà e la nostra storia individuale.

Il Ventilatore Mozzato – Foto n. 2

L’opera inoltre, richiamando significati attraverso la propria forma, mette in evidenza un mondo sordo, anestetizzato e insensibile; la cui brutalità è esplicitata nella decapitazione dell’oggetto. La violenza che secondo Elias (1982) viene repressa nel processo di civilizzazione, emerge come rimosso attraverso l’opera. Ma la decapitazione non va intesa solamente a livello letterale, ma anche sul piano simbolico. La “perdita della testa” va anche interpretata come un paradossale smarrimento della ragione nel processo di razionalizzazione. Come già intuibile dalle argomentazioni presentate precedentemente in questo scritto, la razionalizzazione si maschera come primato della ragione, ma nei fatti agisce come culto della tecnica. Il corpo che rimane dunque è metafora di una tecnica rimasta priva della ragione che l’ha generata. L’opera trasmette un monito rivolto a tutta la specie umana. La ragione che ha affrancato gli esseri umani dalla bestialità, se dispiegata in modalità acritica, può anche richiedere il sacrificio dell’umanità stessa. Senza la presa di coscienza che l’opera vuole far emergere nell’osservatore, il pericolo è quello di assecondare un domani ricolmo di esseri senzienti che nel perseguire imperterriti l’ideologia dominante per ottenere funzioni fisiologiche altamente efficienti, nel concreto saranno divenuti automi privati dell’umanità.

4 – Conclusioni

La presente analisi mostra quanto siano simbolicamente densi gli oggetti prodotti da una società. Non importa che l’oggetto sia funzionante o rotto, semplice o complesso, “utile” o “inutile”; in ciascuno di tali casi, nasconderà una storia da raccontare e dei significati stratificati.

Il processo di estrapolazione del significato ha favorito il legame che si è generato fra oggetto comune e arte. L’operazione è scaturita da un’iniziale manifestazione di volontà sfociata in un riconoscimento comunicativo che attestava la dignità del manufatto, avvenuto attraverso la negoziazione discorsiva dei due artisti.

Un’esperienza che ha fatto sorgere riflessioni sulla natura dall’arte, rifiutando gerarchie estetiche imposte a priori.

L’arte probabilmente non è insita nelle opere in sé, ma nella reazione sensoriale di chi ne subisce il fascino.

Bibliografia

Acton M. (2004), “Learning to Look at Modern Art”, Routledge, London.

Benjamin W. (1942), “Über den Begriff der Geschichte” In “Walter Benjamin zum Gedächtnis”, Institut für Sozialforschung, Los Angeles (trad. it. in Solmi R. (a cura di) “Angelus Novus”, Einaudi, Torino, 2014).

Carboni M. (2003), “Il sublime è ora. Saggio sulle estetiche contemporanee”, Castelvecchi, Roma.

Chitarin G., Gnesotto F., Guarnieri M., Maschio A., Stella A. (2020), “Elettrotecnica – Applicazioni”, Esculapio, Bologna. 

Elias N. (1939), “Über den Prozeß der Zivilisation. Soziogenetische und psychogenetische Untersuchungen”, Verlag Haus zum Falken, Basel (trad. it. “Il Processo di Civilizzazione”, Il Mulino, Bologna, 1982).

Gehlen A. (1940), “Der Mensch. seine natur und seine stellung in der welt”, Junker und Dünnhaupt, Berlin (trad. it. “L’Uomo la sua Natura e il suo Posto nel Mondo”, Mimesis, Milano, 2010).

Magatti M. (2009), “Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista”, Feltrinelli, Milano.

Molotoch H. (2003), “Where Stuff Comes From : How Toasters , Toilets , Cars , Computers and Many Other Things Come to Be as They Are”, Routledge, London (trad. it. “Fenomenologia del tostapane”, Raffaello Cortina, Milano, 2005).

Simmel G. (1911), “Der Henkel”, in “Philosophische Kultur. Gesammelte Essais”, Werner Klinkhardt, Leipzig (trad. it. “L’ansa del vaso” in Pinotti A. (a cura di) “La questione della brocca”, Mimesis, Milano, 2007).

Stace W. T. (1955), “The Philosophy of Hegel”, Dover, New York.

Pubblicato da Gianluca

Gianluca Boncaldo si è laureato nel 2019 in “Scienze del servizio sociale” presso l’Università degli studi di Messina, con una tesi in “Sociologia urbana” incentrata sulle forme che può assumere la marginalità sociale nello spazio. Nel 2022 si è laureato in “Scienze sociali applicate” all’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi in “Sociologia della progettazione territoriale” incentrata sull'arte urbana. Gianluca improvvisa il proprio tempo libero, tra la scrittura e l’esplorazione del mondo.

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